Tra passato e futuro
Il lavoro nei porti è ancora prerogativa maschile. Stante la scheda di valutazione delle prestazioni portuali dell’UNCTAD a livello globale, il tasso di partecipazione delle donne nel settore marittimo non arriva al 20%. La mancanza delle donne nei dipartimenti operativi è evidente in un ambito economico chiave per lo sviluppo globale e determinante per la diffusione del trasporto intermodale che collega le coste all’entroterra. La scarsa presenza delle donne, in determinati contesti, è una conseguenza di tabù e preconcetti che resistono. Ad oggi, lo sviluppo tecnologico ha favorito cicli e metodi di lavoro innovativi. Come in altri campi, digitalizzazione e automazione hanno ridotto la mole di lavoro fisico e ottimizzato processi produttivi. Nonostante questo evidente cambio di passo rispetto al passato, le donne non sono sempre considerate adatte allo svolgimento di determinati lavori. Uno scenario globale che coinvolge anche il nostro paese, malgrado i green ports e l’economia sostenibile.
Lavoro nei porti e platform for change
Digitalizzazione e logistica sostenibile costituiscono uno dei motivi per credere in un cambio di rotta, che comporti riduzione del gender gap e fine di stereotipi di genere. Per abbattere le barriere culturali che ostacolano ogni tentativo di approcciare la questione in modo differente, diversi enti e organizzazioni hanno definito programmi e iniziative specifici. L’uguaglianza di genere è, tra gli obiettivi 2030 inclusi nell’agenda delle Nazioni Unite, il cui scopo è quello di promuovere finalmente lo sviluppo sostenibile in ogni angolo del pianeta. In ambito portuale, la federazione europea dei trasporti intende promuovere la presenza delle donne in modo che il lavoro nei porti non sia più unica prerogativa maschile. L’obiettivo della piattaforma Women in Transport – EU Platform for change, lanciata il 27 novembre 2017, è quello di rafforzare l’occupazione femminile e le pari opportunità
Gender gap, questione di età e realtà geografica
Volgendo lo sguardo al nostro paese, un’indagine condotta da Srm e Assoporti indica che il lavoro nei porti italiani offre spunti interessanti di riflessione. Un’inchiesta denominata Port infographics update 2024 ha analizzato la situazione attuale sia negli scali, sia nelle aziende operanti per conto delle autorità di sistema portuale. Ne è emerso che
- Sono 1.269 su un totale di 20.123 dipendenti le donne attive presso le imprese portuali. Dunque, una percentuale pari al 6,3%
- La stragrande maggioranza sono donne sotto i 54 anni, pari all’80% del totale
La percentuale delle donne cala drasticamente per la fascia di età compresa tra i 55 e i 60 anni, circa il 14%. Cifra destinata a ridursi ulteriormente, ben sotto il 10%, per le donne over 60. A dimostrazione che Il lavoro nei porti – italiani, ma non solo – soffre ancora per la mancanza di politiche di emancipazione che ritardano, inevitabilmente, anche l’innovazione.
Le donne e il lavoro nei porti italiani
Qualcuno potrebbe sostenere che non c’è da meravigliarsi se solo il 2% delle donne è impiegato come fornitore di manodopera temporanea. Tuttavia, le percentuali sono basse anche in altri ambiti. Solo l’8% delle donne lavora come dipendente di terminal o presso società concessionarie del nostro paese. Considerando le imprese portuali non si va oltre il 6%. Ad ogni modo, la situazione è più complessa di quanto si possa immaginare. Nello scenario italiano, si riscontra una difformità territoriale riscontrabile da porto a porto. La percentuale di donne è pari, o supera lievemente, il 15% in scali di competenza delle Adsp dello stretto di Messina. Risalendo lo stivale, spiccano i porti marchigiani e abruzzesi del Medio Adriatico; anche qui, da Ancona a Ortona, la quota rosa si attesta intorno al 15%. Il lavoro nei porti italiani offre dunque spunti di riflessione notevoli agli addetti ai lavori
Divario per regioni e ambiti di pertinenza
Se alcuni segnali incoraggianti arrivano da alcune aziende attive, esistono altrettante realtà che non remano a favore degli sforzi e iniziative per promuovere il lavoro femminile nel settore marittimo. Se i porti di Livorno, Piombino e dell’arcipelago toscano restano in linea con la media nazionale – quota di occupazione femminile pari al 9% – nel Sud Italia la percentuale è quasi a livello zero. Il tasso di incidenza più basso riguarda i porti del Basso Adriatico, da Termoli Molise a Brindisi, nonché gli scali calabresi del Mar Ionio e del Mar Tirreno meridionale. La media di queste località oltrepassa appena il 2%, ragion per cui è necessaria una riflessione sulle condizioni e le prerogative occupazionali delle aziende attive nelle rispettive AdSP. Uscendo fuori dalle logiche che definiscono la ripartizione dei lavori nei porti per genere, le donne rappresentano il 46% degli impiegati presso le autorità di sistema portuale.
Poche dirigenti, ma sempre più giovani dipendenti
Malgrado la situazione di quasi equilibrio nelle port authority, cifre e percentuali vanno contestualizzate. Da un lato, la percentuale di donne che lavorano come dirigenti non supera il 31%. Dall’altro, nella fascia under 40 le donne rappresentano la maggioranza tra i dipendenti delle AdSP: 52% contro 48%. Il dato, tra i più incoraggianti, riflette le peculiarità di un settore che, nonostante tutto, è avviato verso un futuro caratterizzato da maggiore mobilità, sostenibilità e flessibilità. Requisiti che il lavoro nei porti più versatile e, soprattutto, ripensabile in modo che la ripartizione delle mansioni e dei compiti avvenga – laddove possibile – nel segno dell’uguaglianza e della parità di genere.